I pensieri-passatempo

Voglio licenziarmi e andare a vivere al mare! – mi diceva spesso una mia conoscente. Alle volte erano solo scoppi di esasperazione a cui seguiva questa semplice frase, in altre invece questa frase era il principio di lunghi monologhi di come si trovasse al lavoro. Male, ovviamente. E perciò la sua idea era quella di sfogarsi, sfogarsi sognando, e visto che era un sogno perché non farlo alla grande? Senza limitarsi a dire di voler cercare un altro lavoro, quanto piuttosto strapparsi tutte le catene e vivere felice e spensierata una vita di sole e divertimento. Perché il mare (o comunque le vacanze) rappresenta nel nostro immaginario il divertimento assoluto e proibito durante i lunghi mesi di lavoro e di inverno.

Peccato.

Peccato che in questo sfogo, ella accumulasse veleno nel suo sangue, pensieri negativi sulla sua quotidianità, rimuginii su strategie di rivalsa che la lasciavano esausta, ancora più insofferente e sconsolata, facendola ripiombare in un ambiente ancora più insopportabile.

Direi che è comune a molti, se non a tutti, questa evasione temporanea, che però innocente non è. Essa ci trascina ancora più giù nella sofferenza, in una realtà non accettata, ma davanti a cui sembra che non si possa fare nulla. Proprio perché ci si sente impotenti, non si prova neppure a cercare una strada che ci permetta di alleggerire il peso della quotidianità, ma ci rivolgiamo a soluzioni talmente iperboliche e irraggiungibili che otteniamo il risultato voluto: quello cioè di non cambiare nulla.

Cambiare è fatica, è difficile, è impossibile infine. Certo, impossibile se si vuole passare la vita al mare abbandonando una grande città così, su due piedi. Ma non impossibile se ci concentriamo su un obiettivo raggiungibile e alla nostra portata, per esempio cambiare modo di relazionarci con i colleghi in ufficio, se uno dei problemi è che ci sentiamo poco valorizzati.

La chiave è sapere che cosa vogliamo, non quello che non sopportiamo più.

2020-04-14T10:34:56+00:0018 Dicembre , 2019|